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Il diritto romano distingueva le persone in liberi e servi, influenzando la loro capacità giuridica. I liberi avevano pieni diritti e doveri, mentre i servi erano sottoposti al dominus. Processi come la manumissione e l'emancipazione permettevano il passaggio alla libertà e l'acquisizione di nuove capacità legali, giocando un ruolo chiave nella giustizia e uguaglianza dell'epoca.
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oggetti di diritti
non soggetti di diritti ma res mancipi (i beni direttamente collegati ai bisogni della familia)
per il diritto naturale sono uomini
diritto civile sono sottoposti ad un dominus ed alla sua potestas
esercitata come ius vitae ac necis (diritto di vita e di morte)
status libertatis
Si è liberi per nascita
condizione necessaria per la soggettività giuridica
Soggetto al quale si attribuiscono relazioni giuridicamente rilevanti, alla persona vanno riferiti i diritti e i doveri che danno contenuto alla capacità giuridica, cioè all’attitudine a rivestire la titolarità dei primi e ad assumere quella dei secondi.
Nel diritto romano, la società era rigidamente divisa in due categorie principali: i liberi (liberi) e i servi (servi). Questa distinzione era fondamentale per stabilire la capacità giuridica di un individuo, ovvero il suo diritto di esercitare atti legali e di essere titolare di diritti e obbligazioni. I liberi erano cittadini con pieni diritti civili e potevano essere nati liberi o essere stati affrancati dalla schiavitù attraverso la manumissione. La loro libertà era un diritto inalienabile che non dipendeva dallo status sociale o dalla ricchezza, ma era garantita dalla loro condizione di cittadini romani.
I servi, al contrario dei liberi, erano privi di qualsiasi capacità giuridica e venivano considerati come oggetti di proprietà (res mancipi) all'interno della famiglia (familia) del loro padrone (dominus). Questi ultimi esercitavano un potere quasi assoluto sui servi, inclusa la potestà di vita e di morte. Tuttavia, i servi erano riconosciuti come esseri umani e, in determinate circostanze, potevano godere di alcuni diritti basilari, come quello di formare una famiglia (contubernium) e di possedere beni personali (peculium), sebbene sempre sotto il controllo del loro dominus.
La manumissione era il processo legale attraverso il quale un servo poteva essere liberato dalla schiavitù e diventare un libero. Esistevano diverse forme di manumissione, come quella testamentaria (per testamento), per censimento (iscrizione nell'elenco dei cittadini), per vindicta (un atto simbolico di liberazione davanti a un magistrato) e per intercessione di un terzo. In alcuni casi, la libertà poteva essere concessa in cambio di un pagamento o di servizi resi al padrone. Una volta liberati, gli ex servi diventavano liberi cittadini con diritti civili, anche se spesso limitati rispetto a quelli dei cittadini nati liberi.
L'emancipazione era il processo formale con cui un figlio o una figlia veniva rilasciato dalla potestà patria, ottenendo l'indipendenza legale e la capacità di gestire i propri affari. Questo avveniva attraverso una procedura legale che poteva essere ripetuta fino a tre volte e che comportava la vendita simbolica del figlio a un terzo, seguita dal suo immediato riscatto. L'emancipazione permetteva al figlio di diventare capofamiglia (pater familias) o mater familias nel caso delle donne, con piena capacità giuridica e la possibilità di possedere e gestire propri beni.
La netta distinzione tra liberi e servi era un principio cardine del diritto romano, che influenzava profondamente la struttura sociale e giuridica dell'epoca. Sebbene i servi fossero inizialmente considerati come proprietà del loro padrone, il sistema giuridico romano prevedeva meccanismi come la manumissione e l'emancipazione che permettevano loro di ottenere la libertà e di acquisire una capacità giuridica. Queste pratiche riflettevano l'importanza che la società romana attribuiva ai concetti di giustizia e uguaglianza, principi che hanno lasciato un segno indelebile nel corso della storia giuridica occidentale.
Gabriele.Ristallo
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